La scultura di Bruno Liberatore

Serghei Androsov

La ricerca artistica del XX secolo è caratterizzata dalla svolta verso una nuova concezione della forma, che, velocemente maturata agli albori del Novecento, ha fatto nascere l’immagine non figurativa. A differenza della pittura che già nel 1910 ha prodotto le prime composizioni astratte di Vasilij Kandinskij e nel 1915 il Quadrato nero di Kazimir Malevic, l’evoluzione analoga della scultura è stata più lenta. La maggior parte degli scultori di tendenza avanguardista – fra cui individualità spiccate come quelle di Aleksandr Archipenko, di Constantin Brancu si e, un po’ più tardi, di Henry Moore e di Alberto Giacometti – continuava ad ispirarsi soprattutto alla figura umana che ognuno di loro rielaborava, schematizzava e trasformava secondo la propria visione del mondo.

Il netto rifiuto di ogni antropomorfismo si ebbe soltanto nel periodo fra le due guerre mondiali. Ne è un esempio la produzione di Hans Arp, le cui sculture dovevano significare una “nuova realtà plastica” ed essere artisticamente valide proprio per l’originalità delle loro forme e dei loro volumi. Nella seconda metà del Novecento la ricerca di forme nuove nel campo della scultura si fece internazionale ed universale, raccogliendo tributi anche in Italia, anche da parte di scultori che si erano formati sulle tradizioni classiche dell’arte figurativa. Fra i maggiori esponenti di questa tendenza nell’arte italiana va ricordato Pietro Consagra, di cui una mostra personale si tenne all’Ermitage nell’ormai lontano 1991. Lo stile individuale dello scultore era contraddistinto dall’uso sapiente degli effetti cromatici in aggiunta ad un’immagine plastica, spesso abbastanza semplice. Sfruttava volentieri la fattura eterogenea delle pietre, completandola persino con intarsi di materiali diversi, che conferivano alle sue opere una particolare intensità d’impatto sull’ambiente urbano. E ora sculture di Consagra decorano vie di vari centri italiani e della stessa Roma.

Bruno Liberatore è nato nel 1947 a Penne, nell’Abruzzo. Ha studiato all’Accademia di belle arti di Roma dove è stato allievo di Pericle Fazzini, ha insegnato scultura a Milano e a Firenze. Attualmente è professore all’Accademia di belle arti di Roma. Può essere considerato esponente della generazione degli scultori italiani successiva a quella di Consagra. I suoi principi artistici sono pure alquanto differenti da quelli dei predecessori. Non accontentadosi di semplici figure, egli tende ad inventare forme e volumi nuovi, raramente associabili alla plastica figurativa. La lettura delle composizioni di Liberatore non è facile: esse si richiamano piuttosto al pensiero associativo o addirittura al subcosciente dello spettatore. Forme tondeggianti e levigate parlano di quiete ed armonia, mentre spigoli e bordi taglienti della superficie danno una sensazione di asprezza e di tensione. Le piramidi come tali sono figure geometriche stabili e perfette. Lo scultore, però, spesso le deforma, ora tagliandole in diagonale, ora allungandole verticalmente e lasciando vuoti dentro. Ridotte così, le figure derivate dalla piramide producono un effetto drammatico. E’ poco probabile che tale fosse il proposito ragionato dello scultore che si abbandona alla fantasia della ricerca formale improvvisando e inventando forme nuove nel processo del lavoro.

Un gruppo a parte nella produzione di Liberatore è costituito da sculture che risalgono a forme abbastanza semplici, note fin dai tempi antichi. Sono, come già detto, piramidi regolari, piramidi tronche, superfici chiuse. Tali forme possono alternarsi o ripetersi nella medesima opera evocando associazioni ora con catene montuose (Cordigliera, bronzo, 1981), ora con muri (Muro, bronzo, 1972–1975). Può darsi che in queste sculture siano riaffiorati echi lontani delle impressioni giovanili dell’artista che proviene dall’Abruzzo, regione nota per i suoi monti, molti dei quali sono coronati da vecchi castelli e fortezze. Liberatore trae un evidente piacere estetico da una superficie liscia e lucida e vuole renderne partecipe anche lo spettatore. Oppure egli punzona fori nel metallo e vi pratica concavi che ne incrinano la levigatezza speculare, e di nuovo il risultato piace all’artista che titola la sua opera Malattia del muro (bronzo, 1976). Alcune di tali sculture acquistano aspetti monumentali come la composizione in quattro piramidi Valichi (ferro e terracotta, 1988–1994) al Museo dell’arte contemporanea Ca’ la Ghironda di Zola Predosa (Bologna). Per quanto insolite, le sculture di Liberatore sono create con procedimenti tecnici tradizionali, provati da secoli. Dapprima egli disegna numerosi abbozzi, anche di formato abbastanza grande. Quando l’idea dell’opera sembra trovata, il maestro comincia a lavorare con l’argilla plasmando modelli di piccole dimensioni, il migliore dei quali si fonde poi in bronzo o in un altro metallo, già a grandezza voluta dall’autore. A questo punto lo scultore dedica un’attenzione particolare alla lavorazione della superficie, ora levigata, ora ricoperta di patina opaca o di doratura lucida.

Le composizioni più felici di Liberatore acquistano, come abbiamo visto, proporzioni monumentali, superiori spesso alla grandezza d’uomo. Combinando forme e volumi lo scultore coinvolge lo spettatore in un gioco, come se lo invitasse a toccare il bronzo con la mano per confermare con il contatto tattile l’impressione visuale, a fare il giro dell’opera per vederla da tutte le parti, a passare fra le figure di una composizione o magari, sia pure a stento, fra gli elementi di un volume scultorio. E’ un gioco che sembra destinato ai bambini ma che può indurre in tentazione anche il pubblico adulto, se non altro perché impensabile nelle sale di un museo, fra le opere dei vecchi maestri. Alla mostra attuale si possono vedere alcune di tali creazioni di Liberatore esposte nel Gran cortile del Palazzo d’Inverno dove fanno riferimento non tanto al barocco della residenza degli zar russi, con statue e vasi sul tetto, quanto all’isolotto di alberi nella parte centrale del cortile.

A partire dagli anni Novanta la ricerca di Liberatore volge sempre più spesso a forme più complesse, inventate da lui stesso. Di conseguenza, anche la superficie di tali composizioni si fa sempre più complessa e decorativamente ricercata. L’artista si abbandona con passione alla lavorazione della superficie. Diversamente da quelle di Henry Moore, nelle opere di questa serie non s’indovinano figure umane. Si tratta piuttosto di richiami a certi concetti di fondo: materia inanimata, terra, furia delle forze naturali. Pare che il legame con la terra si avverta soprattutto nei piccoli modelli in argilla che sono eseguiti con cura particolare. Parte di quella terra che è l’elemento fondamentale dell’intero creato, l’argilla, nelle mani dell’artista, acquista vita e anima (come la Terra nel racconto umoristico di Arthur Conan Doyle Quando la Terra urlò). Lo scultore cerca di esprimere attraverso la forma plastica i diversi stati della terra. A volte essa sembra benevola verso gli uomini e disposta a dare loro i propri frutti, mentre in altri casi è in conflitto con l’uomo opponendosi alla violenza da parte di questi e allora diventa simile ad un vulcano dal quale erompe la lava (Eruzione II, bronzo, 1994–1996).

I modelli di Liberatore appartenenti a questo gruppo di opere hanno, a nostro parere, un particolare valore artistico. Sono fatti (si direbbe “montati”) da pezzetti d’argilla che assomigliano a delle piccole foglie o a dei petali di fiori che aderiscono stretti l’uno all’altro dando in tal modo luogo ad un certo ritmo preciso e persino ad una specie di ornamento. Tradotti in bronzo, questi petali perdono il loro tremolio, appaiono un po’ meccanici ma acquistano in cambio un nuovo effetto decorativo dovuto alla gradazione tonale del bronzo, dorato o patinato. In alcuni casi lo scultore accosta i due materiali, argilla e bronzo, ottenendo effetti originali. Alla terracotta e al bronzo si aggiunge talvolta il ferro, del quale si valorizza la superficie liscia (Angolare e arco rampante, bronzo, terracotta, ferro, 1999–2001). Come si è visto, l’uomo non è presente nella scultura di Liberatore che preferisce rifarsi alla natura nel suo insieme creando figure stereometriche risalenti a strutture naturali. Per questo motivo le opere del maestro si confanno, a nostro parere, più ad un paesaggio naturale, come quello di una pianura con alberi solitari, che ad un ambiente urbano. Per lo stesso motivo l’artista attribuisce una grande importanza al posizionamento dell’opera in un luogo preciso che ne determina le proporzioni. Crescendo fino a dimensioni notevoli le opere di Libratore diventano monumentali. Insolite come sono, esse possono suscitare associazioni differenti, ora con la quiete della natura che riposa (Isola, bronzo, 1989–1992), ora, al contrario, con forti sconvolgimenti dello spazio ideale e fisico (Città celeste e città terrestre, bronzo, 1996–1998). Abbandonandosi al processo creativo, Bruno Liberatore realizza un mondo tutto suo in cui domina la forma astratta che, secondo i casi, prende aspetti o di semplici volumi naturali o di strani prodotti della fantasia. In tutti i casi, però, egli resta schietto nella sua arte e trae un piacere spontaneo dal gioco delle forme e dei volumi. Più tardi si vedrà se il pubblico pietroburghese ha apprezzato questo gioco. Comunque sia, esso scoprirà in Bruno Liberatore un artista originale, impegnato in una continua ricerca.